Berlinale 2014, Denise Côté affronta il duro tema del lavoro industriale
Alienazione, sfruttamento, precariato e valore della dignità umana: “Que ta joie demeure” mostra i rumori e i gesti del mondo operaio
Volto ormai noto del Berlinale, comparso tra le fila autoriali dei reportage degli anni passati, Denis Côté, il regista canadese – classe 1973 – di “Bestiaire” e di “Vic and Flo saw a bear”, torna a calpestare il suolo del Forum della capitale tedesca con il suo nuovo film, “Que ta joie demeure”. A metà strada tra il documentario e la finzione, il lungometraggio di Côté tratta un tema caldo e quantomai moderno, le cui mille sfaccettature non possono che destare perplessità, amarezza e sconcerto: si immerge dentro la foschia del mondo del lavoro, quello industriale, ne mostra alienazione, sfruttamento, precarietà, e dignità (della classe operaia), esplorandone perfino gli aspetti più metafisici, i suoi riti e le sue liturgie. Il regista canadese, sguardo curioso, pulito, profondo e disincantato, indirizza l’obiettivo della sua macchina da presa sulle officine meccaniche, le falegnamerie, le torrefazioni, le fabbriche di materassi. Si concentra sulle alienanti macchine industriali, prima di posare il proprio sguardo sugli uomini e le donne che lavorano con esse – e che si lasciano inevitabilmente sopraffare da esse –, lasciando che siano i gesti e i rumori a parlare per primi. Solo verso la fine di un film che dura in totale settanta minuti, e porta avanti il discorso dei precedenti “Carcasses” e “Bestiaire”, arriva “il dialogo”, gli scambi di battute, quasi teatrali, tra i pochi attori che compongono il cast, e che Côté ha ben mimetizzato tra i veri operai di questo difficile mondo industriale: riflessioni simboliche che comprendono tutta la complessità del tema del lavoro. Come abbiamo già accennato, non è la prima volta che il regista americano concorre al festival internazionale del cinema di Berlino. Lo scorso anno si presentò al Forum con “Vic and Flo saw a bear”, una storia d’amore finita male tra due ex detenute, ambientata nel Quebec, e per il suo lavoro vinse il Premio Alfred Bauer.
scritto da Eleonora Tesconi